Ascolta la testimonianza orale in dialetto raccolta nel 1980 circa Ascolta la testimonianza orale in dialetto In Valle Vigezzo si coltivava la canapa, non ad uso alimentare, bensì per ricavarne una stoffa chiamata “tèle da cà”. Dopo aver seminato e raccolto la canapa, man mano che maturava , la si portava dove c’erano dei rivoli di acqua “ai lànch”, per immergerla “ impuzzà” , sotto si metteva la paglia e sopra gli steli di canapa incrociati tra loro, per tenere tutto fermo si copriva con un sasso pesante . Restava a mollo per alcuni giorni finché le canne non erano ben impregnate “màser”, quindi si mettevano ad asciugare in piedi in un prato e si portavano a casa. La canapa veniva poi sfibrata “stià”, si facevano dei mazzetti e si pettinava. Durante l’inverno si filava, il filo grezzo veniva ritorto e filato molto fine per essere utilizzato per l’orditura delle stoffe. A seconda della qualità del filo si distinguevano diversi tipi di trama e stoffa: “ul Ceniz “ col filo più grosso, “le spinèvire“ quella di mezzo e “l’ouvre” la più fine. La tela era tessuta in due misure diverse in lunghezza, quella di 6 metri chiamata “pèree” oppure di 12 metri chiamata “chevez “. La tela ottenuta non era però bianca, per farla diventare così là si stendeva vicino ad una fonte su un prato e là si bagnava per aspersione, continuando per tutto il giorno, la si riportava a casa in una “bogge” immergendola con acqua e sapone. Si ripeteva questo rito finché la stoffa non diventava del bianco desiderato . I ragazzini utilizzavano gli scarti della canapa per giocare, costruendosi un bastoncino di nocciolo svuotato dove inserivano fibra di canapa masticata che facevano scoppiare premendo con un bastoncino di sambuco ” la strafùlle”. “Facciamo Rivivere il Paese” in collaborazione con: Desideri ulteriori informazioni?
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