Carnevale di Malesco – Carnuà de Mélèsch

Il “Carnuà de Melesk” è una vera e propria istituzione per il paese. Non è solo una ricorrenza, ma parte integrante del patrimonio culturale del territorio e giunge, quest’anno, alla sua 141° edizione ufficiale.

Sembra, tuttavia, che le sue origini siano ancora più antiche. Secondo alcune fonti, feste da ballo nel territorio maleschese e nel periodo corrispondente al Carnevale si organizzavano già nel 1787 – più di duecento anni fa!

Continuate a leggere per conoscere la storia di questa ricorrenza tanto amata…

Una festa all’insegna della musica

Molte testimonianze concordano nell’associare il Carnevale di Malesco alla musica, ai “sùnai” (i suonatori) e al ballo. Il periodo che intercorreva tra l’Epifania e la domenica delle ceneri era, in generale, il solo in cui i vigezzini potessero dedicarsi alle danze.

Nel caso di Malesco, i festeggiamenti prendevano il via più tardi e coincidevano con il Giovedì Grasso, con i suonatori che giravano per le osterie  e per le vie del paese fin dal pomeriggio. Questi, verso le otto di sera, dovevano trovarsi al luogo prescelto per la festa vera e propria, “ul festitt”. Inizialmente, si trattava di un solaio o di un locale dell’osteria, che veniva addobbato con lenzuola, nastri e fiori. Oggi, la sede del Carnevale è il Bocciodromo Comunale, sito in via Loana 41.

Le danze del giovedì proseguivano fino al mattino seguente. La festa di Carnevale era anche l’occasione per concedersi alcuni sfizi: immancabili erano, infatti, i “runditt”.

Il comitato

I festeggiamenti carnevaleschi erano diretti da un vero e proprio comitato. Era composto da un generalissimo, da due generali, da un capitano delle maschere, dal tenente, dai Matuzìtt e dal Tràpule. Tutti loro portavano una speciale divisa e svolgevano diversi compiti.

Il generalissimo era responsabile della supervisione e del mantenimento della disciplina, mentre i generali lo sostituivano in caso di assenza nel corso dei festeggiamenti.

Il capitano delle maschere accoglieva all’ingresso i partecipanti e ne valutava i costumi e la serietà.

Il tenente organizzava le danze, affiancato dai Matuzìtt e dal Trapula, o Trapulin.

Quest’ultimo era il vero buffone della festa e l’origine della sua maschera risale al Cinquecento, con la Commedia dell’arte. “Ul Tràpule” portava un costume multicolore e dei campanelli legati alle caviglie. Si aggirava con un bastone (“ul bastùŋ dul chestìigh”), che passava a coloro che infrangevano le regole e li costringeva a portarlo fino alla fine del ballo.

I Matuzìtt, invece, erano i personaggi più caratteristici del Carnevale e la loro maschera era in uso a Malesco fino a pochi anni fa. Come nel caso del Tràpule, la maschera del Matuzzìŋ è antica e diffusa: era presente persino nel Carnevale veneziano del Seicento e con lo stesso costume. Il vestito era tutto bianco, con cordoni rossi in vita e sonagli alle caviglie.

I balli

Come già detto, era il tenente – con l’aiuto dei Matuzìtt e del “Tràpule” – a dirigerli i balli. Si eseguivano, in genere, di polke, mazurke e valzer, insieme ad alcuni molto particolari, che chiudevano la serata. Tra questi, troviamo: il “Bàl di balarin”, il “Bàl di squàdar”, il ballo della scopa, il ballo “Tripin”; ma i più rilevanti sono la “Matuzzinàa” e “Ul bàl du tràpule”.

La “Matuzzinàa” era un ballo a coppie dove i Matuzìtt dirigevano le danze e, a braccetto con la propria dama, saltellavano per la sala componendo incroci. In qualità di capi-ballerini, dettavano anche il cambio di ritmo e le figure da eseguire.

“Ul bàl du tràpule” era simile una vera e propria recita e composto di tre momenti. Veniva eseguito da una sola coppia, formata dal Tràpule e dalla sua amata, la Mariana Bèla. La prima parte rappresentava il corteggiamento, la seconda la morte dell’uomo, mentre la terza metteva in scena la resurrezione a opera della donna. Terminata l’esibizione, avveniva un cambio di ritmo e tutti i presenti iniziavano a ballare, come per la “Matuzzinàa”, al grido “Tìtt ul mùnd u bàlle”!

Una pratica ormai scomparsa, ma tipica del Carnevale era quella delle “condanne”. Come si è visto, infatti, l’organizzazione dei balli era molto rigida e vigeva un vero e proprio codice da non infrangere mai. In caso contrario, si pagavano penitenze sotto forma di danza.

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Il carro

Sempre a suon di musica, partiva il corteo mascherato che sfilava per le vie di Malesco e poi di tutta la Valle. Non in tutti i paesi si festeggiava il Carnevale, perciò l’arrivo della comitiva colorata era sempre accolto con molta allegria. In origine, questa usanza aveva luogo il venerdì, più recentemente il sabato.

A bordo di un carretto chiamato “sciarabàŋ” e con i “sunài” al seguito, si portava una zangola – “biravùrie” – e si distribuiva la panna, a volte imbrattando per scherzo i visi delle ragazze più giovani. Oltre alla panna, si lanciava, al passaggio per le strade, farina addosso ai malcapitati spettatori.

Ul pupulazz

L’ultimo giorno del Carnevale di Malesco cadeva di Martedì Grasso. Verso la mezzanotte, quando ormai si erano conclusi i balli, ci si recava in piazza. Qui, si allestiva un falò e tra musica, urla e pantomime si bruciava “ul pupulàz”, simbolo della festa. Così, il Carnevale volgeva al termine, lasciando il posto alla penitente Quaresima.

Il carnevale oggi

Il Carnuà de Melèsk di oggi dura una settimana e continua ad attirare persone da tutta la Valle.

La sua organizzazione è nelle mani dell’Associazione Culturale Maleschese, che ha preso il posto della vecchia “Società dul festin” nel 2000. I membri del direttivo sono una decina e si impegnano con passione alla buona riuscita della festa.

Oltre al direttivo, molti sono i cambiamenti rispetto al Carnevale “véč”. Non si inizia più il Giovedì Grasso, ma di venerdì e la data varia di anno in anno.Con la nascita del Carnevale Vigezzino, si è deciso di .anticipare di una settimana i festeggiamenti, per evitare sovrapposizioni,

Persino la musica è cambiata: sono lontani i tempi dei balli tradizionali, si preferiscono melodie più moderne – anche se lo spazio per il liscio non manca mai. Da ricordare, tuttavia, è il tentativo – tra il 2010 e il 2012 – di riportare in vita la “Matuzzinàa” attraverso il suo insegnamento ai bambini della scuola elementare di Malesco.

Le figure del Trapule e della Mariana Bela sono scomparse dal Carnuà de Melèsk, (il tràpula compare saltuariamente in rievocazioni storiche) mentre sono stati introdotti  nel  più giovane, Carnevale Vigezzino  dove il  “Tràpula” è diventato uno dei personaggi principali.  A Malesco  sono stati introdotti, a partire dagli anni ‘60, il Re e la Regina di Tepié, ovvero dei Maleschesi. Questi due nuovi personaggi, un po’ come il Tràpula e i Matuzìtt, sorvegliano i festeggiamenti e si assicurano che tutto vada per il meglio. Il governo dei due regnanti viene addirittura ufficializzato con la consegna delle chiavi del paese da parte del Sindaco.

Inoltre, il falò del pupulàz non è più, a causa dello sfasamento delle date, simbolo della morte del Carnevale in generale, né dell’inizio della Quaresima ma comunque sancisce la fine del Carnevale di Malesco.

La sfilata a bordo del carro è stata, invece, sostituita dal “giro dei bar”: il Re e la Regina e tutti i mascherati si spostano da un locale del paese all’altro, dove festeggiano fino al mattino.

Eppure, malgrado le novità e la scomparsa di alcune tradizioni, lo spirito del Carnevale è ancora vivo all’interno della comunità. Lo dimostrano la grande partecipazione e l’impegno costante per la realizzazione della festa. Una festa che si rinnova ogni anno, sempre volgendo lo sguardo al passato.

 

1In dialetto maleschese

2Di derivazione francese, “Tutti quanti ballino”.

 

Fonti:
Nadia Caretti, “Il Carnevale di Malesco, patrimonio della comunità”, Meti Edizioni, Torino, 2016
Giuliano Grasso, “L’ultima Matuzinàa”, Copigraf, Milano, 2002
Si ringraziano l’associazione “Agape” e l’Associazione Carnevale Maleschese per il contributo
Per i termini in dialetto maleschese si è consultata l’opera “Il Dialetto di Malesco” di Silvano Ragozza (Copigraf, Milano, 2008)
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Progetto ideato e realizzato dall’Accademia dei Runditt di Malesco, liberamente tratto dalla “Storia di Malesco” di Giacomo Pollini 1896 e da testimonianze scritte ed orali di Maleschesi.

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Illustrazioni di Lorenzo Cancelli

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